Per noi non-addetti ai lavori ma solo cultori di una materia che abbiamo imparato a conoscere e definire come “geopolitica” (vedi nota a piè di pagina), gli scenari prospettati dallo scontro Russia-Ucraina in corso da oltre quaranta giorni presentano molti interrogativi aperti. Alcuni insoluti, forse insolvibili, altri risolvibili con un’analisi attenta della situazione storica, tattica e politica.
Su uno di questi mi vorrei soffermare oggi in modo particolare, e cioè: perché la Russia non sta vincendo il conflitto?
Quando in quel fatidico 24 febbraio siamo stati raggiunti dalla notizia dell’attacco russo all’Ucraina, tutti abbiamo pensato – forse anche sperato – si sarebbe trattato di una questione molto privata da risolversi in pochi giorni. Un caso da manuale di Shock and Awe (colpisci e terrorizza), tattica militare basata sull’uso di una potenza di fuoco soverchiante, che unita alla cognizione dell’assoluta superiorità del nemico sul campo e magari supportata da spettacolari prove di forza, arriva a paralizzare l’aggredito e lascia annichilito e deprivato della volontà di resistere.
Così si pensava sarebbe andata. La Russia avrebbe preso i territori di suo interesse, non tanto il Donbass russofono e russofilo che già sostanzialmente gli apparteneva (54 ore prima dell’assalto Putin aveva siglato, in diretta tv, il decreto per riconoscere l’indipendenza di Lugansk e Dontesk, le repubbliche separatiste ucraine del Donbass) quanto i territori a sud, sul mare d’Azov, per completare il quadro del suo dominio su quel mare chiuso, talvolta definito “lago russo”, e ricongiungere i suoi territori alla Crimea (già annessa nel 2014 a seguito di un contestato referendum popolare).
Ma da allora è passato più di un mese e niente di questo è accaduto. Al contrario, la Russia ha subito ingenti perdite, è stata costretta a ritirare le truppe da Kiev, stenta, rallenta, incespica, e oltre macchiarsi di atroci crimini contro l’umanità, commette un errore dietro l’altro, a livello tattico, militare e diplomatico.
Com’è possibile, ci chiediamo? Come può essere che una potenza così immensa, di cui credevamo immense anche le risorse a livello bellico, non sia riuscita – e forse non riuscirà – ad avere la meglio sulla “piccola” Ucraina?
Certo, la mitologia e la storia sono piene di pronostici ribaltati. Da Davide e Golia ai Greci contro i Persiani, al Vietnam contro gli Stati Uniti o a Ulisse contro il Ciclope.
Ma chi avrebbe mai immaginato una simile sconfitta della Russia che – comunque vadano le cose da oggi in avanti – avrà portata epocale? La piccola Ucraina ha già scritto il suo nome nella storia arrivando a far sbiadire l’immagine dell’Impero Russo agli occhi dell’opinione pubblica mondiale; e noi sappiamo che gli Imperi vivono della grandezza dell’immaginario che sono in grado di generare attorno a sé, più che della loro effettiva forza.
E grande era l’immagine che avevamo di loro, fino almeno al 24 febbraio scorso.
La Russia era il paese che aveva vissuto la sua ultima sconfitta vera durante la Prima guerra mondiale. Una sconfitta maturata tra l’altro in condizioni molto particolari, avendo combattuto sotto l’avvicendarsi di tre assetti differenti (gli zar, la rivoluzione di febbraio e la guerra civile di ottobre).
È la potenza che vanta il più grande arsenale nucleare del mondo; che è stata protagonista in tempi recenti di campagne militari di non breve periodo, come nei Balcani, in Cecenia e Georgia, Siria e Libia; che ha saputo creare un’emanazione del suo esercito, il famoso battaglione Wagner, destinato al “lavoro sporco” precluso all’esercito regolare. E questo ci ha dato l’idea di una grande potenza militare.
Ma siamo sicuri di avere sempre valutato le sue imprese in modo accurato?
La Russia si è ritirata dall’Afghanistan dopo nove anni di guerra e con oltre 16000 perdite in vite umane.
In Siria la vittoria è maturata contro uno stato (quello islamico) capace di terrorizzare l’occidente con attacchi sanguinari, ma del tutto inesistente sotto il profilo militare, privo com’è di aeronautica – e se vogliamo dirla tutta, anche di una contraerea.
Lasciando da parte le operazioni clandestine negli stati centro occidentali dell’Africa che non possono essere considerate guerre in senso stretto, anche in Libia la Russia ha perso, schierandosi con i francesi dalla parte di Haftar: l’intervento dei Turchi in Tripolitania è stato sufficiente ad arrestarli.
Abbiamo poi passato i decenni a magnificare le operazioni dell’intelligence russa; ma nel 2014 l’intelligence russa si è lasciata cogliere alla sprovvista dai fatti di Maidan, la cosiddetta rivoluzione ucraina.
E la volta in cui l’attacco lo hanno orchestrato loro, in cui cioè hanno deciso di propria iniziativa tempistiche e modalità, si sono trovati in una situazione incomprensibile: fortemente deficitaria sul piano strategico, insensata per certi versi (già nel 2018 la Russia aveva completamente interdetto all’Ucraina il traffico marittimo nel mare d’Azov, a dimostrazione del fatto che già ne avesse il controllo); impreparata alla totale assenza di consenso e del tutto disorganizzata sotto il profilo propagandistico. Forse Putin pensava che sarebbero stati ricevuti con manifestazioni di giubilo, con lanci di fiori e acclamazioni popolari, non con le cannonate. Di fatto, con un atto di grande superbia tattica, hanno inviato un contingente di 150.000 uomini per uno stato di 40milioni di abitanti, convinti di sfondare con piccoli gruppi d’avanguardia, non incontrare resistenze, insediare nuove amministrazioni e prendere il comando in breve.
Non è andata così, e tanto questo non era previsto, che nemmeno nelle zone filorusse nel Donbass ci si è premurati di organizzare qualche manifestazione pro-russa (dato che com’è evidente non ne sono nate di spontanee). Non è mai nemmeno stata inscenata una finta accoglienza delle truppe di liberazione, impegnate nella cosiddetta opera di “denazificazione”. L’unico evento vagamente simile a un’operazione di propaganda si è tenuto nello stadio di Mosca, con molte perplessità per tutta l’opinione pubblica ed esiti incerti in termini di riscontro popolare.
La verità è che l’esercito russo ha una quantità ingente di armamenti pesanti, ma è inadatta a guerre agili o campali perché manca di fanteria; e non si può vincere una guerra convenzionale come quella contro l’Ucraina senza la fanteria. Dal tempo degli Zar, inoltre, nessuno ha mai pensato di rivedere il cuore della dottrina militare russa, secondo la quale, per sconfiggere il nemico poteva bastare l’eccezionale carattere della popolazione. Un po’ come dire: assorbiamo le perdite, anche ingentissime, sopportandole con il nostro carattere indomito e in ultimo prevaliamo grazie alla nostra superiorità numerica. In effetti è stata la capacità di andare oltre ai milioni di morti durante la campagna della Germania nazista a consentire alla Russia di resistere e infine di vincere (anche se con l’aiuto degli armamenti degli Stati Uniti, noi lo ricordiamo, loro a quanto pare no).
Ma questo oggi non può più accadere. La Russia potrà prendere il Donbass, Mariupol e arrivare fino alla Crimea, ma ha già perso nove alti ufficiali, di cui sette generali, e queste sono perdite che si contano durante una guerra mondiale, e arrecano un danno incommensurabile, perché gli alti ufficiali sono memorie storiche e intellettuali che si rigenerano nei decenni non certo nel corso di un paio di mesi.
E fatto ancor più significativo, questa guerra deciderà il futuro della Russia, non solo della Russia di Putin. I Russi non conoscono il benessere di noi occidentali, non temono le sanzioni, e sono in grado di sopportare le privazioni, è vero. Ma dopo questa guerra cambierà la collocazione della Russia sullo scacchiere mondiale. Già oggi la Russia rischia di essere fagocitata dalla Cina, tanto più se arrivasse il paventato semi embargo sugli idrocarburi da parte occidentale. La Repubblica Popolare Cinese deve mantenere 1 miliardo e 400 milioni di abitanti e la Russia è il più grande produttore di grano al mondo, oltre che la più grande riserva di gas del pianeta. Putin forse non aveva previsto che con la sua fallimentare sortita ucraina, avrebbe spinto il paese dritto nell’abbraccio mortale della Cina. E probabilmente il Dragone sogna di andare a contendere agli Stati Uniti l’egemonia mondiale avendo già divorato l’Orso.
© Eleonora Carta, 2022